ANSIA, PANICO, PSICOSOMATOSI E REPERIBILITA' TELEFONICA. UN CONTRIBUTO.
- Daniele Russo
- Jul 21
- 2 min read

Quando il corpo è un campo di battaglia
Ore 22:30 di domenica 20 luglio. M., una giovane paziente di 24 anni, che seguo soltanto da una settimana mi scrive.
Il suo corpo è in trincea.
Fiato corto, cuore in gola, mente paralizzata.
Una crisi d’ansia con sintomi così intensi da dovere ricorrere al PS.
Io come sempre offro la reperibilità telefonica per le emergenze e rispondo.
Stamattina il messaggio:
“Ieri sera, dopo mezz’ora che ci siamo sentiti, piano piano ho iniziato a stare meglio.”
Non è solo sollievo.
È la prima breccia in un dolore muto che va avanti da oltre tre anni. Una baraonda emotiva e fisica. Un disturbo d’ansia mai affrontato davvero.
M. aveva provato un percorso cognitivo-comportamentale, convinta dalla parcella di un giovane collega. Non ha funzionato. Nessuna trasformazione. Nessun contatto profondo. Solo protocolli.
Quando è arrivata da me, ho capito subito che il suo corpo stava parlando una lingua antica.
Quella dei traumi rimossi.
Dei vissuti taciuti.
La mente ha trovato rifugio nel corpo e lì ha lasciato quello che non può essere detto a parole.
Come scrive Joyce McDougall, "quando la mente non può pensare il dolore, il corpo lo agisce".
Io ero lì.
Anche se era domenica.
Anche se era tardi.
Perché ho sempre creduto che chi cura davvero, non guarda l’orologio.
Legge il sintomo, accoglie il silenzio, sta nel buio.
Fino a che la voce dell’altro non torna a sentirsi viva.
Questa è la differenza tra chi lavora e chi cura davvero, tra chi riceve in studio e chi sceglie di esserci anche quando non è previsto; non è questione di eroismo ma di etica, di sguardo umano, di dedizione vera, perché, quando hai davvero a cuore la salute dei tuoi pazienti non guardi l'orologio, ascolti il sintomo, leggi il dolore, respiri con loro e li riporti alla vita.
Altrimenti che merda di sanitario sei?
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