top of page
Search

Quando le tecniche falliscono: il caso di E. e il valore di una diagnosi psicologica avanzata

  • Writer: Daniele Russo
    Daniele Russo
  • Jun 30
  • 6 min read

A volte le terapie non funzionano. E il problema non sei tu.




Introduzione


Negli ultimi anni, sempre più pazienti arrivano nel mio studio dopo cicli di terapie falliti. Tecniche valide, certo, ma mal utilizzate: senza diagnosi, senza ascolto profondo, senza lettura integrata della storia psichica. E. è uno di questi pazienti: e la sua storia merita di essere raccontata.


Prologo


E. ha 36 anni, una vita normale contrassegnata, purtroppo, dall’ansia cronica e diffusa, dal panico e da pensieri disturbanti a volte dotati di apparente logica, altre, fuori dal buon senso. E:, non ha aspettato e in passato ha cercato aiuto. Affronta una psicoterapia cognitivo-comportamentale. Poi passa alla gettonatissima psicoterapia EMDR. Due interventi ritenuti nel settore internazionale come elettivi e “standard” per i disturbi d’ansia.


Prima di proseguire con la vicenda, a proposito di EMDR, volevo rivelarvi che in oltre vent’anni di lavoro ho visto la psicologia attraversare stagioni di entusiasmo terapeutico e mode.

Prima tutti impazziti per lo psicodramma, poi per le costellazioni familiari, poi per l’analisi bioenergetica, per l’ipnosi regressiva. È oggi è il tempo del mindfulness-based tutto, delle terapie sensomotorie, del neuromarketing spacciato per neuroscienza.


Preferisco restare fedele a una psicologia artigianale, seria, paziente.

Una psicologia che non cede alla moda e che non delega la comprensione della sofferenza a una tecnica venduta come un brand di lusso.


A questo proposito, tornando a E. è stato sottoposto alla miracolosa psicoterapia EMDR ma la sua angoscia era rimasta intatta. E non perché fosse resistente, ma perché l’intervento era stato applicato in modo automatico, senza profondità, senza contesto, senza ascolto.


Cosa ho dovuto fare? Come ho agito clinicamente?


Anzitutto, ho dovuto arginare gli effetti collaterali delle psicoterapie precedenti — quella che chiamiamo iatrogenia — per poi narrare insieme la sua storia, i suoi significati, i suoi vuoti.

Ed è stato lì, in un lavoro di cucitura delicata, che è emersa una memoria traumatica infantile.


Oggi E. vive, lavora, è tornato in se stesso e pare essere tornato a respirare!


Alcune bolle mentali sono forti, potenti, perché costruite nel tempo come un sistema di difesa. Hanno salvato, protetto, anestetizzato. Ma col passare degli anni diventano gabbie: impediscono di vivere, di scegliere, di respirare pienamente. Riconoscerle non basta. Serve il coraggio di attraversarle, lentamente, con chi sa tenerti saldo mentre tutto vacilla.

Ed è questo che abbiamo fatto io ed E.


Abbiamo attraversato insieme i suoi carboni ardenti. Senza scorciatoie, senza formule preconfezionate, senza il bisogno di anestetizzare ciò che invece andava sentito fino in fondo.


Ho custodito la sua fragilità come si fa con qualcosa di sacro, senza violarla, ma accompagnandola — con pazienza e rigore — verso un’elaborazione inconscia e conscia autentica.

Dove altri hanno applicato protocolli, io ho costruito uno spazio umano in cui le difese potevano ammorbidirsi, la paura trovare parola e il dolore trasformarsi in comprensione. Non una tecnica, ma un cammino. Non una procedura, ma una presenza tecnica stabile e profonda capace di contenere anche ciò che sembrava incontenibile.


E., oggi conosce la sua bolla — il recinto psichico in cui per anni il suo inconscio ha tentato di proteggersi e di contenere l’angoscia, ed è anche a conoscenza con lucidità dolorosa, che certe configurazioni traumatiche precoci, inscritte nell’area pregenitale dello sviluppo, lasciano tracce che non si dissolvono mai del tutto.


I mostri — quelle rappresentazioni interne arcaiche, invasive, talvolta persecutorie — possono ritornare. Ma stavolta, il suo Io ha appreso a riconoscerli, a decodificarne le apparizioni, a non colludere più con il terrore primitivo. Il suo Io, un tempo fragile e fagocitato dall’urgenza della sopravvivenza psichica, possiede oggi una consistenza nuova: più coesa, più vigile, più capace di mediare tra le spinte pulsionali e la realtà esterna.


E. stavolta, il suo Sè ristabilito possiede uno sguardo nuovo, più integro, che distingue il presente dal passato e può scegliere, finalmente, di non farsi trascinare nel buco nero della ripetizione.


Soprattutto, E. sa che, laddove qualcosa dovesse smuoversi — un’eco improvvisa, un cortocircuito emotivo, un ritorno inaspettato del male — può contattarmi.


Questo sapere, inscritto nella relazione professionale e sostenuto da un patto interno solido, offre all’Io un punto d’appoggio ulteriore: la certezza, non onnipotente ma affidabile, che esiste uno spazio mentale pronto ad accogliere sempre l’eventuale perdita (recidiva).

Un rifugio simbolico che non sostituisce l’autonomia ma la rinforza.


Come sempre, è la psicologia fatta bene — non il trend del momento — a fare la differenza.


🧠 Modelli della mente


Per comprendere la profondità del percorso di E., è utile richiamare alcuni strumenti concettuali fondamentali del bagaglio teorico/procedurale dello Psicologo Autentico.


🧩 1. Struttura psichica (Id, Io, Super-Io) – Sigmund Freud


Secondo Freud, la personalità è la risultante dell’interazione tra es (pulsioni primitive), Io (funzione di mediazione con la realtà), e Super-Io (internalizzazione morale) .


Nel caso di E., le “bolle traumatiche” rappresentano tentativi di contenimento pulsionale, mentre il suo Io – rafforzato durante il percorso psicologico – ha imparato a gestire le pulsioni dell’es, senza colludere con un terrore primitivo.


⚙️ 2. Traumi precoci e posizioni pregenitali – Melanie Klein


Klein mostra come esperienze traumatiche infantili instaurino cortocircuiti inconsci, che strutturano relazioni interne (object relations) già in epoche pregenitali. Le “rappresentazioni interne arcaiche, invasive, persecutorie” riferiscono a quelle posizioni paranoide-schizoidi che possono emergere anche in età adulta.


Nel caso di E., queste memorie si erano auto-isolate nella sua bolla psichica, prima di essere ri-attivate in modo completamente errato dalla psicoterapia cognitivo comportamentale e dall?EMDR.


🧬 3. Iatrogenesi da tecniche standard – Sándor Ferenczi


Ferenczi fu tra i primi a denunciare il danno che può derivare da interventi mal calibrati, in assenza di ascolto autentico (“confusione di lingue” tra adulto e bambino), seguito da Telfener.


I primi colloqui clinici hanno dovuto arginare gli effetti iatrogeni lasciati dalle terapie precedenti prima di poter raccogliere e decodificare il trauma. Grazie alla relazione clinica, è stato possibile evitare la ripetizione di una “psicologia industriale” fredda e molteplice.


🔄 In conclusione

  • Freud ci aiuta a interpretare il rafforzamento dell’Io di E. come capacità di mediazione tra bisogni primigeni e realtà;

  • Klein rende conto del peso degli elementi pregenitali e della loro potenziale ricaduta patologica in età adulta;

  • Ferenczi mostra la necessità di un ascolto calibrato e umano, capace di contenere e di sostenere il trauma, evitando gli effetti collaterali di tecniche eseguite senza pensiero clinico.


Questo impianto teorico, unito al percorso pratico con E., dimostra come una diagnosi strutturata e un intervento clinico di prima linea consapevole possano davvero fare la differenza: non si tratta solo di tecniche, ma di profondità, ascolto e rigore relazionale.




🧪 Approfondimento clinico


Quando la tecnica non basta: il valore della diagnosi psicologica avanzata


Viviamo in un’epoca in cui molte terapie psicologiche vengono promosse come risolutive per ogni disagio. EMDR, terapia cognitivo-comportamentale (CBT), ACT, mindfulness, schema therapy.


Tutte tecniche potenzialmente efficaci, ma solo a una condizione: che siano usate all’interno di un pensiero clinico rigoroso, fondato su una diagnosi strutturata e scientificamente fondata.

Una diagnosi non è un’etichetta. È una mappa, un modo per orientarsi con precisione nel paesaggio psichico di una persona. Senza di essa, qualunque tecnica – anche la più validata – rischia di diventare un intervento cieco.


Cos’è una diagnosi clinica strutturata?


Non è un semplice “colloquio conoscitivo”.

È un processo integrato che unisce l’ascolto profondo alla somministrazione di test psicodiagnostici standardizzati e all’utilizzo coerente del DSM-5 come guida alla classificazione e comprensione.


Questo metodo permette di:


  • comprendere le dinamiche profonde alla base del sintomo;

  • distinguere ciò che è primario da ciò che è reattivo;

  • individuare i nuclei traumatici, le strutture di personalità, la coerenza del funzionamento mentale.

Senza questa base, anche la tecnica più sofisticata diventa un tentativo approssimativo, spesso fuorviante.


Applicare una tecnica non è fare clinica.


Applicare una tecnica significa seguire un protocollo.

Fare clinica significa comprendere.

Un vero intervento terapeutico è sempre unico, pensato, adattato, mai standardizzato. Richiede logica, sensibilità, diagnosi, e soprattutto una visione complessa dell’essere umano.

Troppo spesso oggi si assiste a un uso “automatisco” delle tecniche psicologiche: rapide, standardizzate, rassicuranti nella forma, ma spesso inefficaci o dannose nella sostanza.


I rischi delle terapie senza diagnosi


Una terapia senza diagnosi approfondita può:

  • alimentare confusione diagnostica;

  • innescare falsi ricordi o reazioni dissociative;

  • rinforzare meccanismi difensivi patologici;

  • favorire la cronicizzazione del disturbo;

  • creare un senso di colpa nel paziente per “non essere riuscito a guarire”.


Tutto questo non è solo un errore tecnico. È una responsabilità clinica mancata.


Non è la tecnica a fallire: è il modo in cui la si usa Senza diagnosi, ogni terapia è come un farmaco dato a caso.


Nel mio lavoro clinico, prima ancora di trattare e prima di intervenire, comprendo.

È questa la base su cui si costruisce un percorso davvero efficace e rispettoso della persona.


Una psicologia autentica inizia dalla diagnosi.Perché ogni sofferenza merita ascolto, ma anche precisione.


Ogni persona ha diritto a una valutazione clinica seria, approfondita, costruita con rigore e rispetto. Solo così un intervento psicologico può essere davvero efficace, mirato, e all’altezza della complessità umana.


📞 Invito alla riflessione


Se anche tu hai già intrapreso percorsi terapeutici che ti hanno lasciato più smarrito che guarito, sappi che non sei tu ad aver fallito. Forse, a mancare, è stata una diagnosi autentica. Esiste un altro modo.

Un metodo fondato su scienza, esperienza clinica e capacità reale di comprendere.


👉 Puoi contattarmi al 3498182809


Il primo passo è una valutazione seria.

Da lì, tutto può cambiare.




 
 
 

Comments


dott. Daniele Russo, Psicologo Clinico regolarmente iscritto

all’Ordine degli Psicologi della Regione Siciliana (n. 3685 sez. A - 07.06.2006)

assicurato con polizza RC professionale AUPI (n. 2020/03/2425586)

Tipo soggetto: Ditta Individuale

Tipo attività: 869030 – Attività svolta da Psicologi

Indirizzo: Largo Montalto, 5, Palermo (PA)

Telefono: 349.81.82.809

Studio: 

L.go Montalto - 5 (trav. Via U. Giordano)

90125

Palermo 

Cell

 

349. 81. 82. 809

 

© 1999  by

 dott. Daniele Russo

All rights reserved

  • Instagram
  • Facebook
  • psicologo palermo daniele russo
  • SUBSTACK di Daniele Russo Psicologo
bottom of page