🌕 Palermo, Ferragosto 2007: Quando i padri distruggono
- Daniele Russo
- 25 giu
- Tempo di lettura: 6 min
🌕 Palermo, Ferragosto 2007: Quando i padri distruggono
Ferragosto 2007, il mondo palermitano ricco di tavolate, risate, fuochi d'artificio, ma non per tutti.
Alle 20:17 ricevo un messaggio.
Mi scrive un’amica riferendomi che una sua cara amica è disperata, perché, il figlioletto G, 12 anni, ha tentato durante la giornata più volte il suicidio.Mi faccio contattare da questa mamma:"Mio figlio è impazzito … la prego mi aiuti, ha cercato di buttarsi giù dal balcone, si è puntato una forchetta all’occhio. Dice che vuole morire."
Potete immaginare che il 16 agosto del 2007, tutto avrei voluto fare tranne che recarmi in studio. Avevo promesso che sarei andato al mare ma dentro di me si agitano due voci.
Una, più razionale, più stanca, sussurrava:"Non è compito tuo. È un caso da servizio pubblico. Estremo. Tu non puoi occupartene."
L’altra voce, invece:"Fallo. Figurati, lo imbottiranno di psicofarmaci … fallo perché in questo momento, nessun altro può farlo meglio di te … un ragazzino, dodici anni appena … hai voluto la bicicletta, pedala..."
E così ho aperto lo studio, una scelta che ancora oggi rivendico come una delle più decisive della mia carriera professionale, perché, G., è stato un caso estremo e sono riuscito a operare, posso dirlo senza piageria, in maniera eccellente.
🌄 Il giorno dopo: ore 15, caldo infernale
Entrano in studio. Lui e la madre.Lui entra lento, scollegato, lo sguardo fisso a terra.La madre ha negli occhi quella disperazione silenziosa che solo chi ha visto un figlio implodere può comprendere.Mi basta poco per capire che G. è in uno stato dissociativo, verosimilmente per breakdown psichico generatosi dall’impatto determinato dal trauma.
Con una voce piccola, quasi franta:"Papà mi ha detto che non è mio padre. Me l’ha detto mentre mangiavamo il gelato. Come se niente fosse. Mi ha detto che mamma ha fatto un errore e che io non sono suo figlio. Poi si è rimesso a guardare il telefono."
Silenzio.
In quello spazio vuoto tra una parola e l’altra, si apre un abisso.
Perché il trauma non è sempre violento, urlato, fisico.A volte il trauma è sottile, glaciale, in-sensato.È una verità gettata addosso senza amore.Una rivelazione scagliata come una condanna.
📘 Nella mia mente risuonano le parole di Jacques Lacan: "Il padre è colui che dà la legge” .
Caro Jacques, così sofisticato e intellettuale nelle tue teorie tu sapevi che quando la legge viene detta senza amore, si trasforma in violenza pura?
In quel momento non sono solo uno psicologo.Sono l’unica possibilità del ragazzino di riuscire a creare insieme a me un argine contro il vuoto determinato dalla terribile scoperta che quello che credeva essere suo padre, improvvisamente, gli ha strappato via ogni certezza, ogni fondamento, senza alcun ritegno.
Praticamente gli ha distrutto i pilastri fondanti la sua identità.
Inizio un lavoro sottilissimo. Un intervento che, paragonato alla chirurgia, sarebbe una microchirurgia dell’anima volta all’esportazione con poca anestesia di un frammento psichico contaminato, ma ancora salvabile.
Invisibile, ma cruciale.
Non posso utilizzare con un bambino di 12 anni concetti adulti.
Non posso razionalizzare.
Posso solo esserci.
Con una fermezza che non invade.
Con un calore che non confonde.
La mia presenza deve contenere l’incontenibile.
📖 Nel mio settore, D.W. Winnicott, è stato così dolce e amorevole quando parlò della madre sufficientemente buona.
I genitori possono dire parole che possono dare la vita.E parole che, se pronunciate nel momento sbagliato, uccidono l’anima di un figlio.
Via via, durante il dispiego del colloquio, G. torna ed esce dallo stato di shock mentale che potrebbe produrre in lui effetti clinici devastanti. Parla a sprazzi. Ma qualcosa si apre.Mi guarda e dice:"Posso chiamarti per nome?"
Sorrido.
Ha bisogno di nuovo di dare fiducia al mondo degli adulti e degli uomini che lo hanno tradito. E’ il primo mattone che la sua piccola mente decide di concedersi per scrivere una nuova narrazione.
In termini psicoanalitici, è il momento in cui l’Io, dopo essere stato travolto dall’angoscia generata dalla frattura con la figura paterna, tenta timidamente di riprendere il proprio ruolo di mediatore tra un Es confuso e sofferente — carico di impulsi di morte e disperazione — e un Super-Io che, in assenza di una funzione paterna simbolica, si è strutturato in modo persecutorio.
Quel semplice atto di fiducia, nel chiedere di chiamarmi per nome, rappresenta un tentativo embrionale dell’Io di riaffermarsi come istanza organizzatrice, di cercare un nuovo equilibrio tra il caos pulsionale e le richieste del mondo esterno, affidandosi per la prima volta non a una identità determinata dal sangue biologico ma co-costruita alla relazione umana.
🧷 E poi arriva la rabbia.
Non da parte di G., ma la mia.Una rabbia lucida, adulta, consapevole.Perché quello che è successo non è solo una rivelazione sbagliata data al minore nel momento sbagliato.
È un abbandono simbolico.
È una crudeltà travestita da sincerità.
È l'ennesimo esempio di padri che confondono la paternità con un diritto di proprietà, che non comprendono il potere devastante delle loro parole.
Il padre si era scocciato di fare da padre di un figlio non suo. Falso e menzognero, aveva dichiarato alla compagna che per lui non era un problema.
🎯 Ai padri che disconoscono, umiliano, feriscono, dico questo:
siete la radice di troppi dolori sommersi.
Padri assenti o abusanti, padri narcisisti, padri meschini, padri vili.
Padri che pretendono rispetto ma non sanno offrirlo.
Padri che pensano che essere padre sia un dato biologico, non una scelta quotidiana.
Siete responsabili di generazioni ferite, di figli che si sentono sbagliati senza sapere perché.
E se oggi quel bambino è vivo, è perché qualcuno — io, in quel preciso momento critico del minore — ha scelto di esserci davvero.
G., oggi è uomo ed è padre.A dodici anni, ha dovuto gestire un terremoto psichico senza strumenti, senza mappe, senza paracadute.
E ha scelto di non essere come chi l’ha ferito.
G. è la dimostrazione che si può nascere due volte: la prima dal corpo, la seconda dalla cura e dalla relazione umana.
In queste ultime settimane, tanto ho pensato a G. e a quella seduta dove io e lui abbiamo camminato in silenzio nei carboni ardenti del dolore verso una forma di rinascita possibile.
Mi è tornato alla mente, perché ho avuto a colloquio un bambino di otto anni, figlio di genitori separati, dove il padre non lo cerca mai.
Ogni tanto lo va a prendere, sta con lui solamente un'ora, non calcolandolo o rimproverandolo.
Il bambino ha iniziato a mettere in atto una serie di sintomi gravi, ovvero, incubi notturni, isolamento, calo del rendimento scolastico, perdita d’appetito, mutismo selettivo.
Le maestre, allarmate, hanno detto alla madre di correre dal migliore.
Ha lo stesso nome: G.
In seduta, zitto, occhi a terra, nessuna apertura, nessun gancio, nessuna possibilità.
Il bambino vive una ferita ingestibile per lui.
Con la povera madre abbiamo dovuto valutare se proseguire con questi incontri col padre che di fatto ogni volta producono ulteriore sofferenza, regressioni, angosce insostenibili.
Oppure l’allontanamento dal padre, in considerazione che non vi sono risorse relazionali sufficienti, né alcun accenno di cambiamento da parte del genitore.
Abbiamo scelto la seconda.
Inoltre, produrre quante più situazioni possibili di gioco e distrazione per il minore.
La speranza è quella che, di fronte a una definitiva separazione dal padre, il bambino possa attivare le risorse psichiche innate per riorganizzare il proprio mondo interno attraverso processi di simbolizzazione e riparazione.
In ambito clinico infantile, questo significa favorire un lavoro interno di reintegrazione dell’oggetto perduto, in cui il Sé frammentato possa cominciare a ri-costruirsi senza più rincorrere un legame disfunzionale. L’assenza reale del padre — una volta nominata, contenuta e rielaborata in setting protetti — può trasformarsi da ferita aperta a materiale psichico elaborabile, attivando meccanismi adattivi come la resilienza, la sublimazione e l’introiezione di nuove figure di riferimento.
In altri termini, la mente del bambino, liberata dal continuo fallimento della relazione con il padre, può tornare a investire in modo creativo e funzionale, rafforzando l’Io e permettendo lo sviluppo di nuove strutture simboliche capaci di sostenere il dolore, anziché soccombervi
Oggi, G. entra in un centro estivo, in un tempo d’estate con altri bambini e con educatori informati della situazione traumatica.
La speranza è quella di riuscire a raggiungere l’obiettivo di restituirgli una dimensione ludica e protetta in cui possa tornare a sentirsi bambino, non vittima.
Coraggio G., ce la devi fare!!
Lo aspetto a settembre.
A oggi, le sedute sarebbero solamente una perdita di tempo e denaro, perché, il suo dolore ha bisogno prima di essere accolto in altri modi, più semplici e meno psicologizzanti.
👁🗨 Nessuno diventa padre per caso. Ma molti di loro restano bambini viziati troppo a lungo per accorgersene.
Il vostro Psicologo da vivere
dott. Daniele Russo
ordine: 3685 sez. A – 07.06.2006
Polizza RC profess. AUPI – n. 2020/03/2425586
Ditta Individuale, Tipo attività: 869030
Largo Montalto, 5, 90144, Palermo (PA)
📞 349.81.82.809
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