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Quando la psicologia diventa missione, 
il cambiamento diventa reale. 

Chi sono

Mi presento .... .... .... .... 

sono Daniele Russo e sono nato il 21.02.1969.


Faccio parte di quella generazione di psicologi che ha avuto il privilegio di formarsi quando la Psicologia in Italia era ancora un terreno fertile di passione, guidato da maestri illustri e seri. Per questo mi definisco Psicologo Autentico: porto con me una formazione clinica solida, rigorosa, nutrita dal pensiero vivo dei grandi nomi della psicologia nazionale e internazionale.

Ho avuto la fortuna di affiancare figure storiche della psicologia palermitana, come A. Caruselli e A. Ruvolo, ai quali sarò per sempre grato. Sono figlio, come moltissimi, di un’infanzia difficile.

E in quell’infanzia, l’unico sentiero percorribile era il sogno.

Il me bambino sognava di diventare un supereroe che avrebbe protetto i più piccoli dal male, dal silenzio, dall’indifferenza.

Quel desiderio ingenuo è diventato negli anni una vocazione adulta e consapevole.

Oggi posso dire di averlo realizzato, non sono un supereroe e magari non sarò il dio della psicologia ma dopo oltre 20 anni di attività clinica, più di 5.000 pazienti soddisfatti, testimoniati anche da recensioni autentiche sul web, posso affermare a gran voce che il mio lavoro, io lo so fare benissimo.

 

La mia primissima paziente, Y., aveva 25 anni. Non la dimenticherò mai. Il giorno prima del colloquio ero terrorizzato e l’unica cosa che mi calmava era rileggere Rogers, Minuchin, Boscolo, Andolfi.

Y. entrò, si sedette, e scoppiò in lacrime senza dire nulla.

Da quel pianto compresi che l’universo femminile esige uno sguardo diverso. Non basta ascoltare: bisogna sentire, intuire, contenere e decodificare un dolore spesso antico, familiare, transgenerazionale.

Una lettura maschile del disagio femminile non basta. Fermarsi alla triangolazione edipica o alla semplice analisi delle istanze psichiche primarie e secondarie può risultare sterile.

 

Nei paradigmi teorici attuali, l’attenzione va sempre più verso “la relazione che cura” e non è una moda.

È la scienza a dircelo.

La creazione di un clima di sicurezza attraverso la co-regolazione emotiva è centrale tanto nella teoria dell’attaccamento (Bowlby, “base sicura”), quanto nelle neuroscienze interpersonali.

 

Stephen Porges, con la sua Teoria Polivagale, ha dimostrato che “attraverso la co-regolazione ci connettiamo agli altri e creiamo un senso di sicurezza condiviso” (fonte: ipsico.it). Questa sintonizzazione, secondo Schore (2003), è il primo passo per facilitare l’elaborazione emotiva e l’integrazione psicocorporea.

 

Questo è il cuore del lavoro clinico con pazienti donne: la connessione emotiva profonda, che permette alle pazienti di sperimentare uno stato interno stabile, sicuro, trasformativo.

 

Dopo 20 anni di esperienza sul campo, anche io posso affermare che è la relazione che cura; allineandomi a Irvin Yalom: “It’s the relationship that heals” (safehaventherapy.com), e a Carl Rogers, che indicava come l’ empatia, l’autenticità e l’accettazione incondizionata del paziente sono le basi per un legame terapeutico efficace.

 

Ed è questa fiducia relazionale a predire gli esiti positivi di un intervento psicologico che mira all’eccellenza.

 

Nel mio settore, è oramai accertato che i modelli teorici, le metodologie, le tecniche si stanno integrando in una rete interconnessa chiara e complessa.

 

Da ciò, propongo un modello capace di combinare strumenti diversi (esperienziali, cognitivi, narrativi, corporei) senza perdere coerenza, non dimenticando Boscolo e Cecchin, che già dagli anni ‘90, introdussero l’idea che l’esperto debba intervenire non solo sul sistema familiare ma anche sui significati, sui vissuti e sulla soggettività (fonte: Treccani.it). Infine, impossibile non citare (e attenzione citare non copiare senza citare facendo passare il messaggio che è una personale intuizione) Maurizio Andolfi, che su Treccani, parla di un terapeuta come “regista” che si muove dentro e fuori dalla scena terapeutica, aiutando i pazienti a “riscrivere il copione della loro storia” – un concetto ripreso anche da Montàgano e Pazzagli nel loro manuale Il genogramma (disponibile in sintesi su Studocu.com).

 

Anche online, blog e siti professionali confermano la diffusione di questi concetti.

 

Il blog di Cosimo Santi (cosimosanti.com), ad esempio, afferma che la relazione terapeutica è uno spazio dove diventa possibile esprimere i propri bisogni emotivi profondi e sentirsi accolti. Per molti, gli interventi psicologici funzionano “perché si crea una buona relazione”, cioè una base di empatia, autenticità e collaborazione.

 

E’ obiettivo comune, quindi, promuovere un’esperienza emotiva condivisa, che riattivi le risorse dell’individuo, della coppia e della famiglia.

 

La narrazione è il metodo?

Si.

Aiutare le persone a riformulare il proprio racconto di sé, a spostarsi da storie dominanti e rigide verso storie nuove, più vitali. Questo è l’approccio della Terapia Narrativa di White & Epston, secondo cui il terapeuta crea un contesto in cui accogliere le storie dei clienti e favorire l’emergere di narrazioni di speranza e autodeterminazione (giorgiofranzosipsicologo.com).

 

Come spiegato anche su Treccani, questo lavoro di co-costruzione narrativa permette di riorganizzare il dolore in modo significativo, integrando l’esperienza emotiva e generando nuove possibilità di esistenza.

 

In definitiva, Y., mi ha insegnato che uno psicologo non può improvvisare.

 

Ciò che altri descrivono come intuizione o “vocazione relazionale” spesso è semplicemente copia non dichiarata di concetti pubblicati e diffusi in rete ma non capiti veramente.

Io, invece, riconosco e onoro le fonti: Treccani, ipsico.it, studocu.com, cosimosanti.com, safehaventherapy.com, giorgiofranzosipsicologo.com.

 

Perché essere Psicologo Autentico significa questo: trasformare il sapere in cura, l’esperienza in ascolto, la teoria in relazione clinica vera.

 

Chi si trova in questo momento in una condizione di disagio emotivo – nella relazione di coppia, nel contesto familiare, lavorativo – e sente il bisogno di affrontarla, comprenderla e trasformarla, può trovare nella consulenza psicologica uno spazio sicuro, umano e trasformativo. Uno spazio in cui la sofferenza non viene silenziata né etichettata, ma accolta e restituita nella sua complessità. Nel mio lavoro, questo spazio è rivolto in particolare alle donne.

 

Nel mio approccio, centrato sulla psicologia clinica e culturale della donna, l'accompagnamento è profondamente rispettoso della soggettività femminile.

 

L’esperienza emotiva delle donne, infatti, non può essere affrontata con modelli teorici neutri o universalistici. Essa richiede strumenti specifici, conoscenze mirate e un ascolto che tenga conto della complessità della psiche femminile, del ciclo di vita, dei codici affettivi, del contesto culturale e simbolico in cui si è cresciute.

 

Nel corso della mia attività ho lavorato con donne che portavano vissuti diversi: depressione, ansia, difficoltà relazionali, esperienze di abbandono, lutti irrisolti, dipendenze affettive, disturbi del comportamento alimentare, crisi identitarie, vissuti di colpa, vergogna e inadeguatezza.

Ma anche storie complesse di abuso psicologico, fisico o sessuale, traumi pre-verbali, relazioni familiari oppressive, ferite intergenerazionali non elaborate.

Ho visto con i miei occhi il loro inferno e tutte con una forza incredibile si sono rialzate rinascendo dalle proprie ceneri e trasformare le esperienze negative in una nuova rinnovata forza positiva.

 

Spessissimo, non hanno avuto bisogno di nessuna guida ma soltanto di capire le cose e dopo ripartire apprendendo dai loro stessi errori.

 

A guidarmi è stato l’ascolto delle voci forti e lucide delle studiose della psiche femminile: Carol Gilligan, pioniera dell’etica della cura; Jean Baker Miller e la Relational-Cultural Theory; Judith Herman e la teoria del trauma complesso; Clarissa Pinkola Estés con il suo lavoro sulla psiche arcaica delle donne; Jessica Benjamin, Nancy McWilliams, Silvia Vegetti Finzi, Joan Chodorow, Luce Irigaray, e molte altre.

 

Queste autrici hanno restituito alla psicologia uno sguardo sensibile, non maschile e maschilista e patriarcale, profondo, che affonda nelle relazioni, nel corpo e nei simboli.

 

La prima fase del percorso prevede il primo colloquio della durata di un’ora e trenta (non ho mai avuto bisogno di diluire la prima fase in 3 colloqui come altrove per fidelizzare i guadagni), volto a raccogliere i dati clinici importanti della storia personale, comprendere le aree di maggiore criticità e iniziare sin da subito operazioni psicologiche volte a disinnestare il cortocircuito psichico. Non adotto tecniche/pacchetto valide per tutto e tutti, ma utilizzo strumenti clinici e narrativi validati per l’universo mentale femminile.

 

Le mie pazienti mi hanno insegnato che ogni donna possiede in sé la forza di trasformare il dolore in determinazione, forza e rivoluzione!!!

 

Il mio compito è quello di accompagnarla in questa ricerca, con umiltà, competenza e presenza.

 

Principi della Psicologia della Donna

 

• La sofferenza psichica femminile è radicata spesso in relazioni di cura non simmetriche, traumi relazionali, condizionamenti culturali e ruoli imposti.

• Il corpo della donna non è solo un contenitore biologico, ma un linguaggio simbolico: è attraverso di esso che si esprime e si trattiene il dolore.

• Il cambiamento passa attraverso il riconoscimento delle proprie ferite e la narrazione della propria storia con una nuova voce.

• Le donne hanno bisogno di contesti clinici che riconoscano il loro potere trasformativo, senza infantilizzarle né psicologizzarle in modo astratto e senza produrre visioni/interpretazioni basate solo ed esclusivamente su una logica e buon senso di pertinenza maschile.

• La relazione terapeutica è uno spazio di restituzione, non di diagnosi. Il fine non è adattarsi, ma ritrovare integrità, voce e ritorno alla vita.

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Il mio studio l’ho aperto con il cuore pieno di sogni e senza un soldo in tasca. All'epoca, nessuna pubblicità, nessun social.

Solo passione, coraggio e quella promessa fatta negli anni della mia infanzia difficile.

Poi è arrivata la prima paziente.
Non una diagnosi, non un caso clinico.
Una donna.

Che piangeva senza riuscire a dire nulla.
In quel momento ho capito tutto: i manuali servono, ma è lo sguardo che cura.

La presenza. L’empatia.

Da quel giorno non mi sono più fermato.

Ho ascoltato più di 5000 storie vere.
Molte di queste avevano un’origine comune e lacerante: abusi subiti nell’infanzia.
Incesti. Violazioni. Manipolazioni.
Ferite invisibili che avvelenano il presente.

Quelle storie mi hanno cambiato.
Sono entrato nelle procure. Ho lavorato accanto a giudici, avvocati, consulenti.
Ho affrontato i casi più oscuri, quelli che pochi vogliono toccare.
E più ascoltavo, più vedevo che quelle donne volevano una sola cosa:

 

ricominciare a vivere, davvero.

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La mia visione clinica: radicale, empatica, trasformativa.

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Non lavoro usando occhi dolci per sedare il dolore al solo scopo di trattenerti il più possibile in studio.
Lavoro per liberarti da ciò che ti tiene prigioniera.

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Perché con me non si finge.

Si guarisce. 

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Sarò per sempre grato alle colleghe della comunità professionale di avermi sostenuto nell'idea di creare questo sito rivolto alle donne. 

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