Lilith
Figura mitologica e visione viva in un quadro sacro-profano che cattura e trasforma chi lo guarda.
«Tu sei Me»
(In lingua angelica, a Mattia, mentre lui guarda il dipinto)

Palermo, ore 14:30, Università degli Studi facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Scienze dei Beni Culturali cattedra: Letteratura Comparata e Miti Femminili
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Arianna era una studentessa modello e si aspettava questa domanda e si era preparata alla perfezione. Dunque non esitò a rispondere.
“Nella dottrina della Kabbalah, Lilith è una figura potentissima e ambigua. Viene descritta come il primo demone femminile, creato contemporaneamente ad Adamo — ma, a differenza di Eva, non è stata plasmata da una sua costola.
Lilith rifiutò di sottomettersi, sia spiritualmente che sessualmente e per questo fu bandita dall’Eden.
Nella tradizione cabalistica ebraica, è associata al lato oscuro della femminilità: l’indipendenza radicale, la sessualità libera, la rabbia non domata, ma anche alla maternità negata, al lutto, al peccato e al potere. Spesso viene rappresentata come un'entità che infesta le notti, che si insinua nei pensieri, che seduce, che ruba i neonati, che sussurra alle donne ferite incitandole a liberarsi con la guerra.
Non è un demone comune: è la voce dell’inconscio femminile represso”.
"Quindi, Lilith ruba i neonati .... e questa cosa non la impressiona?" chiese il professore Carbonetti.
Arianna non si scompose.
Lo guardò dritto negli occhi, con quel lampo che solo chi ha capito davvero può permettersi.
“Professore, Lilith non ruba i neonati.
Li reclama.
Reclama ciò che è stato strappato.
È il simbolo di tutte le madri a cui è stato tolto qualcosa.
È la madre mancata, la madre dimenticata, la madre che ha urlato invano.
E i neonati che prende… non sono corpi, sono idee.
Possibilità negate. Desideri abortiti. Verità messe a tacere.”
Il silenzio del docente si fece spesso.
Poi aggiunse, con voce più bassa ma tagliente:
“Lilith non è una criminale. È il risultato della violenza che non si vuole nominare.E se compare nei sogni o nei racconti è perché da qualche parte, qualcuno ha ancora il coraggio di ricordare ciò che è stato taciuto”
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Corrado la fissò in silenzio, tamburellando le dita sulla cattedra.
Nessuna annotazione. Nessun cenno di assenso.
Solo una minuscola incrinatura negli occhi, impercettibile a chiunque, tranne che a lei. Gli venne da tossire, un colpo secco che cercò di soffocare nel pugno chiuso. Indicò con lo sguardo la sua assistente, chiedendo sottovoce un bicchiere d’acqua.
Poi tornò a guardarla.
Solitamente non assegnava mai il trenta e lode. Si fermava sempre al ventiquattro, per principio.
Ma stavolta no. Stavolta era troppo.
Troppo limpida, troppo potente, troppo vera.
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Proseguì serio, accavallando le gambe: «È pur sempre un demone. Cacciata dal Paradiso terrestre. Regina degli inferi. Un’assassina. Mi dica, signorina: cosa scrive esattamente lo Zohar a questo proposito?»
Arianna senza esitazione, lo guarda negli occhi: «Lo Zohar afferma che Dio, pur avendola bandita, concesse a Lilith uno spazio preciso per esistere: il venerdì, al calar del sole. È in quell’ora, la luce si ritira e le porte dell’oscurità si socchiudono. E Lilith, la madre dell’ombra, torna a camminare tra gli uomini.
Non col corpo — con l’idea. Sussurra nelle menti stanche, nei desideri repressi, nella ferocia silenziosa di chi si sente autorizzato a tutto. Ma c’è di più: secondo lo Zohar, nominarla in quel momento — il venerdì sera — significa chiamarla a sé. Evocarla.
Renderla presente. È per questo che viene imposto il silenzio: perché Lilith agisce laddove qualcuno le concede spazio col pensiero, con la parola, col desiderio. E dunque non è solo una figura dell’inferno.
È ciò che l’uomo stesso ha creato nel tentativo di reprimerla.
E ogni venerdì sera, il mondo ricorda — anche senza saperlo — che ciò che è stato escluso, ritorna» .
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“Infatti è proprio il venerdì che mi diletto con lei”, pensò Corrado con quella lentezza torbida che hanno solo gli uomini senza colpa.
Ma non lo disse.
Non ne aveva bisogno.
In quell’aula immobile, affacciata su una città distratta, nessuna domanda gli venne più.
E mentre firmava il verbale con la lode, pensò: non è una studentessa. È una sopravvissuta che sa usare i miti per non farsi più addomesticare.
Perché Arianna non era più una studentessa.
Era diventata Lilith.