Violenza di gruppo e trauma: il caso di Asia Vitale tra dolore e ricerca di libertà. Due anni dopo la violenza di gruppo subita a Palermo, Asia Vitale appare determinata a riprendere il controllo del
- psydr3
- 19 lug
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Il caso Asia Vitale: dalla violenza alla ribalta sui social

Asia Vitale, oggi 21enne, è suo malgrado diventata un simbolo della violenza di gruppo dopo i fatti accaduti a Palermo nel luglio 2023. Quella notte fu attirata in un luogo isolato e violentata da sette ragazzi-
Le indagini hanno portato a condanne (confermata in Cassazione quella per un minorenne coinvolto, e 4 anni e 2 mesi ad Angelo Flores, autore delle riprese, per revenge pornlacnews24.it). Ma anche se la giustizia ha fatto il suo corso, “il dolore non si cancella con una sentenza”, come sottolinea amaramente un resoconto della vicenda lacnews24.it.
Nei mesi successivi, Asia ha raccontato di aver vissuto un trauma profondo:
soffriva di incubi ricorrenti e attacchi d’ansia, segni di un chiaro disturbo post-traumatico.
Ha persino subìto un tentativo di sequestro nel quartiere Ballarò nel 2024, quando alcuni individui armati la minacciarono affinché ritirasse la denuncia lacnews24.it. Questo episodio, oltre a rinnovare la paura, evidenzia come spesso le vittime debbano affrontare anche una vittimizzazione secondaria (intimidazioni, colpevolizzazione, isolamento sociale). Asia proveniva già da un contesto difficile – anni trascorsi in una comunità dopo un’infanzia in cui «l’amore era una moneta da guadagnare» lacnews24.it – e la violenza subita ha riaperto ferite antiche, minando ulteriormente la sua fiducia negli altri e in sé stessa.
Nonostante tutto, Asia ha mostrato resilienza. Ha dichiarato di
“non voler più sapere nulla” dei suoi aggressori, e che per lei “non si tratta di dimenticare o perdonare, ma di andare avanti”lacnews24.it.
Nel tentativo di riprendere in mano la propria vita e di non sentirsi più “una vittima”, Asia ha iniziato a esporsi pubblicamente sui social media, raccontando la sua storia e denunciando gli attacchi di odio online (gli “hater”) ricevuti. La sua presenza online le ha dato inizialmente un seguito ampio (fino a 90 mila follower su Instagram), ma le ha causato anche vari ban dalla piattaforma, forse a causa di contenuti giudicati inappropriati o delle continue segnalazioni di detrattori.
All’inizio dell’estate 2025 Asia compie la scelta più controversa: annuncia l’apertura di un profilo a pagamento su OnlyFans (chiamato “AsiaVitale3.0”), dove pubblica personalmente video espliciti di natura sessuale rivolti a chi paga un abbonamento lacnews24.it.
«Il corpo è mio. Il consenso è tutto», ha rivendicato con fermezza Asia lacnews24.it,
quasi a marcare una linea di confine tra la violenza subita (priva di consenso) e la sessualità che ora esibisce (basata invece sul suo consenso esplicito). Questa mossa, che Asia presenta come un gesto di libertà e autodeterminazione, ha immediatamente sollevato interrogativi profondi nell’opinione pubblica: è davvero una forma di emancipazione, o rischia di essere l’ennesimo riflesso di un trauma non risoltol acnews24.it? La normalità di Asia, apparentemente ritrovata in un lavoro come cameriera d’albergo a Courmayeur, alle 5 del mattino per preparare colazioni e rifare stanze lacnews24.it, convive ora con questa nuova identità digitale ipersessuale.
La dicotomia fra la ragazza che cerca una vita normale e la giovane donna che monetizza il proprio corpo online alimenta un dibattito acceso.
Gli effetti psicologici della violenza sessuale di gruppo
Per provare a comprendere le scelte di Asia è necessario inquadrarle nel contesto degli effetti psicologici di uno stupro, ancor più se perpetrato da un branco.
La psicologia dell’emergenza e la letteratura clinica evidenziano come una violenza sessuale abbia conseguenze traumatiche profonde e di lunga durata sulla psiche della vittima stateofmind.itstateofmind.it. Gli effetti più comuni includono: isolamento emotivo e sociale, depressione, attacchi di ansia, sintomi psicosomatici (disturbi del sonno, dolori senza causa medica), pensieri suicidari e soprattutto disturbo da stress post-traumatico (PTSD) stateofmind.itstateofmind.it.
In particolare, uno studio ha rilevato che circa un terzo delle vittime di stupro sviluppa PTSD, e una percentuale analoga soffre di episodi di depressione maggiore negli anni seguenti stateofmind.it. Le vittime spesso riferiscono sentimenti di colpa e vergogna immotivati, come se fossero in parte responsabili di quanto accaduto, e ciò aggrava il loro isolamento. Non di rado compaiono incubi ricorrenti, flashback dell’aggressione e ipervigilanza (la costante sensazione di pericolo imminente).
Un trauma come lo stupro di gruppo tende inoltre a distruggere l’autostima e il senso di sicurezza personale. Le vittime parlano di sentirsi impotenti, “sporche” o “rovinate” nell’intimo, come se la violenza avesse compromesso definitivamente il loro valore stateofmind.ithuffingtonpost.it. La sessualità, da sfera potenzialmente positiva dell’esperienza umana, viene “scardinata” e associata al pericolo, alla sopraffazione, al dolore. Infatti, tra le fobie frequenti nel dopo trauma vi è proprio la paura della sessualità e dell’intimità fisica stateofmind.it. Molte donne stuprate riferiscono di non riuscire più a vivere serenamente un rapporto sessuale: possono sviluppare disfunzioni sessuali (ad esempio vaginismo, anorgasmia, calo del desiderio) e provare ansia o panico in situazioni intime. Studi clinici confermano che la maggioranza delle sopravvissute subisce conseguenze sulla sfera sessuale: in un campione, l’87% delle donne vittime di aggressione sessuale riportava problemi sessuali significativi (come difficoltà nel raggiungere l’orgasmo) tempo dopo l’evento traumatico istitutobeck.com.
È importante sottolineare che lo stupro non è mai un atto di desiderio sessuale, bensì un atto di violenza e potere. Come hanno ribadito esperti e commentatori, «lo stupro non riguarda [...] il desiderio sessuale, al contrario è un atto di potere e di controllo» huffingtonpost.it.
Chi stupra non lo fa per incontrollabile pulsione erotica, ma per affermare un dominio sulla vittima, umiliarla e annientarne la volontà. Questa verità – riconosciuta anche nei congressi degli psichiatri forensi italiani (“lo stupro è uno strumento di potere”repubblica.it) – è cruciale: aiuta a comprendere che la sessualità in sé non è “colpevole” di quanto accaduto, e che nessun comportamento o scelta successiva della vittima può legittimare l’abuso subito. Asia stessa lo ha affermato chiaramente:
“Sono libera, amo il sesso ma nulla legittima l’abuso”,
ha detto in un’intervista, rivolgendosi a chi insinuava che il suo gusto per il sesso potesse in qualche modo sminuire la gravità di quanto le è stato fattopalermo.repubblica.it. Questa distinzione netta – tra sesso consensuale e violenza sessuale – è fondamentale sia per la vittima che per la società che la giudica.
Trauma e sessualità: come reagiscono le vittime?
Le reazioni delle vittime di violenza sessuale nei confronti del sesso e del proprio corpo possono variare enormemente. Ogni sopravvissuta cerca a modo suo di riconquistare un equilibrio e un senso di controllo dopo l’esperienza traumatica. Da un punto di vista psicologico, si osservano spesso due poli di risposta opposti, entrambi legati al tentativo di fronteggiare il trauma:
Evitamento e chiusura sessuale: Molte vittime sviluppano un rifiuto della sessualità. Il contatto fisico può evocare flashback dell’aggressione e terrore, portando a evitare relazioni intime. Non è raro che si manifestino fobie sessuali (paura del rapporto, degli spazi chiusi se lo stupro è avvenuto in un luogo confinato, paura di restare sole con un uomo, ecc.)stateofmind.it. In questi casi la persona può apparire ipotrofica sul piano sessuale (iposesualità): calo drastico del desiderio, assenza di piacere, fino all’anestesia emotiva in ambito erotico. Si tratta di un meccanismo di difesa: la psiche associa sesso e trauma, dunque spegne il desiderio per proteggersi dal dolore.
Ipersessualità e ricerca di controllo: Altre sopravvissute, al contrario, reagiscono buttandosi in una sessualità molto attiva o promiscua. Questo comportamento di ipersessualità post-traumatica è stato documentato da vari terapeuti: il trauma sessuale può indurre sia iposesualità sia ipersessualità thriveworks.com. In alcuni casi, aumentare le esperienze sessuali (specie se liberamente scelte) è un modo per reclamare la propria sessualità dopo che è stata violata thriveworks.com. Il filo conduttore è il bisogno di riprendere potere: dopo un evento in cui si è sperimentata estrema impotenza, la persona cerca situazioni in cui possa sentirsi di nuovo padrona di sé. Come spiega la psicoterapeuta Alexandra Cromer, molte vittime provano un forte senso di powerlessness e quindi impegnarsi in attività sessuali che possono iniziare e controllare loro stesse diventa un modo per “riprendersi ciò che sentono sia stato loro sottratto”thriveworks.com. Se questa rinnovata attività sessuale è consensuale, non compulsiva e genera effettivo piacere e maggiore fiducia in sé, può persino contribuire alla guarigione, fornendo una sensazione di empowerment thriveworks.com. Attenzione però: l’ipersessualità non è sempre un segnale di autentica liberazione. Spesso è anche una strategia per evitare il dolore emotivo: riempire il vuoto con incontri sessuali serve a non pensare al trauma, a stordire i sentimenti intrusivithriveworks.com. In tal caso rischia di diventare un circolo malsano, portando poi a nuovi sentimenti di vergogna, alienazione e ad aggravare i sintomi post-traumatici invece di sanarlithriveworks.com. La ricerca clinica sottolinea inoltre che questi comportamenti possono esporre a ulteriori pericoli: sesso non protetto, contrarre malattie, subire nuove violenze o abusi, in quella che viene definita talvolta una “rivittimizzazione”.
Riappropriazione del copione sessuale: Diversi studiosi hanno teorizzato che alcune vittime “mettono in scena” (anche inconsciamente) situazioni simili al trauma, ma stavolta da loro orchestrate, nel tentativo di desensibilizzarsi o riscrivere il finale della storia. Ad esempio, il traumagenic dynamics model in psicologia evidenzia come l’abuso possa generare “copioni sessuali” disfunzionali che guidano le scelte successivepmc.ncbi.nlm.nih.gov. Altri teorici suggeriscono che i sopravvissuti utilizzino deliberatamente il sesso come mezzo per riprendere il controllo di ciò che era stato loro tolto pmc.ncbi.nlm.nih.gov. Questo può tradursi in comportamenti come cercare partner multipli o pratiche estreme, dove però sono loro a dettare le regole. Si tratta di un tentativo di riconfigurare l’esperienza: il medesimo atto (il sesso) da esperienza di violenza subita diventa esperienza di volontà imposta (dalla vittima stessa, ora protagonista attiva). In psicologia si parla anche di “compulsione a ripetere”: rivivere aspetti del trauma per provare a dominarli. È un terreno delicato, perché a volte queste “ri-messa in scena” possono effettivamente aiutare la persona a sentirsi più forte, mentre in altri casi non fanno che riaprire le ferite.
Il ricorso al sex work come coping: Un sottoinsieme particolare di risposte è quello di chi decide di entrare nel mondo del sesso commerciale (pornografia, prostituzione, piattaforme online). Può sembrare paradossale che una vittima di stupro scelga volontariamente di esibirsi sessualmente o di fare sesso a pagamento, ma non è un caso isolato. Studi qualitativi su sopravvissute hanno riscontrato che alcune donne collegano la loro attività di sex work direttamente al trauma subito: spesso citano motivazioni come la necessità di sopravvivenza, la ricerca di autonomia sul proprio corpo e la volontà di sfruttare ciò che altri hanno cercato di sfruttare ai loro danni pmc.ncbi.nlm.nih.gov.
In altre parole, monetizzare la propria sessualità può rappresentare – nella loro percezione – un modo per riprendere il controllo della narrazione: “se devo essere oggettificata, almeno decido io e ne traggo vantaggio”. In uno studio, alcune sopravvissute hanno descritto il sex work come una forma di resilienza, pur riconoscendolo come profondamente connesso al loro trauma pmc.ncbi.nlm.nih.govpmc.ncbi.nlm.nih.gov.
Va notato che nella maggior parte dei casi analizzati queste donne non vivevano positivamente l’esperienza di scambiare sesso per denaro e la consideravano un compromesso doloroso, sebbene scelto attivamentepmc.ncbi.nlm.nih.govpmc.ncbi.nlm.nih.gov. Ciò significa che, più che una libera “vocazione”, il sex work post-traumatico tende ad essere una strategia di coping estrema, spesso associata ad altri problemi (dipendenze da droghe o alcol, povertà, mancanza di sostegno)pmc.ncbi.nlm.nih.govpmc.ncbi.nlm.nih.gov. Anche in questo ambito, dunque, è difficile tracciare il confine tra autodeterminazione ed esito del trauma: la stessa scelta può essere vista come espressione di libertà o come ri-traumatizzazione auto-inflitta, a seconda della storia individuale e del livello di elaborazione raggiunto.
In sintesi, la risposta di una vittima di stupro sulla dimensione sessuale può oscillare dalla totale chiusura alla ricerca attiva di esperienze, persino estreme. Entrambi i poli sono modi di confrontarsi con l’abusività subita: o fuggendone il ricordo, o sfidandolo ripetutamente. Non esiste una “giusta” o “sbagliata” reazione in assoluto – ogni percorso è personale – ma tutte queste condotte segnalano il medesimo bisogno di curare una ferita di controllo e dignità. Nel caso di Asia Vitale, la traiettoria sembra essere quella di una riappropriazione attraverso l’ipersessualità e l’esposizione pubblica. È fondamentale analizzarla senza pregiudizi, ma con occhio clinico, per capire se si tratti della sua maniera di guarire o di un grido di aiuto mascherato da emancipazione.
Libertà o ripetizione del trauma? – Riflessioni sulle scelte di Asia
La decisione di Asia di aprire un profilo OnlyFans e di condividere contenuti sessualmente espliciti a pagamento a soli due anni dallo stupro ha generato reazioni contrastanti. Da una parte c’è chi la sostiene, riconoscendo in questa scelta un atto di sfida al vittimismo: Asia non vuole più essere vista solo come la “ragazza stuprata”, ma come una giovane donna che ha pieno controllo sul proprio corpo e sulla propria sessualità. Dall’altra, molti osservatori – inclusi psicologi, giornalisti e gente comune – hanno espresso perplessità e inquietudine. Colpisce infatti il cortocircuito tra il passato e il presente di Asia: tra la brutale violenza subìta (un abuso terribile, umiliante e pubblico) e l’odierna auto-esposizione sessuale volontaria su una piattaforma online lacnews24.it. In sostanza, la preoccupazione è che la mise en scène attuale non sia un vero liberarsi dal trauma, bensì un riportarlo in scena sotto altra forma.
La riflessione che in molti fanno è: possibile che per sentirsi padrona di sé stessa, l’unica via che Asia conosce passi ancora dal corpo, dal sesso e dallo sguardo degli altri? È proprio questo che turba: la sensazione che Asia stia cercando conferme e controllo nello stesso territorio in cui le erano stati strappati. Come ha osservato un commentatore,
«ciò che colpisce – e un po’ spaventa – è che l’unica via per sentirsi padrona di sé sembri passare ancora da lì: dall’esposizione, dalla sessualità, dallo sguardo degli altri» lacnews24.it.
Su OnlyFans Asia è lei a dettare le regole, certo – “il consenso è tutto” come dice – ma quel palcoscenico digitale che le promette guadagni facili può anche infliggerle nuovi giudizi e nuove feritelacnews24.it. Invece di essere libera dallo sguardo altrui, rischia di diventarne dipendente per lavoro; invece di superare il trauma, potrebbe finire col replicarne il copione: oggettivare il proprio corpo, sia pure con il controllo apparente della situazione. È una dinamica complessa, che mescola emancipazione e vulnerabilità.
Va riconosciuto che Asia è maggiorenne, autonoma e consapevole, e ha il diritto di scegliere cosa fare del proprio corpo senza essere giudicata moralmente. Come lei stessa ha affermato, “chi ha problemi con questo mestiere (OnlyFans) cambi cultura. L’importante è che ci sia sempre il consenso”palermo.repubblica.it. In queste parole c’è una rivendicazione di libertà sessuale sacrosanta: il problema non è il sesso in sé, ma la mentalità di chi lo stigmatizza o – peggio – di chi lo impone con la violenza. Asia sembra voler lanciare proprio questo messaggio: nessuno potrà mai più abusare di me, perché ora la mia sessualità è affare mio e la gestisco io. In tal senso, molti leggono la sua scelta come un grido di autodeterminazione e una provocazione culturale: costringe la società a guardarsi allo specchio e a mettere in discussione i propri bias. Perché se una ragazza sopravvissuta a uno stupro di gruppo decide, pochi anni dopo, di “mercificare” il proprio corpo, forse – viene da pensare amaramente – c’è qualcosa che come società abbiamo sbagliato nel supportarla e nel trasmetterle il senso del suo valorelacnews24.it. Possibile che non siamo stati capaci di offrirle altri modelli di riscatto se non quello di trasformare il trauma in spettacolo (ancorché consensuale e remunerato)? Questa domanda interroga tutti noi.
D’altro canto, è importante sottolineare che ogni percorso di guarigione è personale. La sessualità può far parte della rinascita di una persona, se vissuta come libera espressione di sé. Ci sono sopravvissute a violenze che diventano attiviste, altre che scelgono strade artistiche per elaborare il dolore, altre ancora – come Asia – che puntano sulla riappropriazione del corpo in senso letterale, anche attraverso la sessualizzazione pubblica.
La chiave, secondo gli esperti, sta nell’intenzione e negli effetti: se queste scelte aumentano il benessere della persona, il senso di sicurezza e di autostima, potrebbero essere strumenti
di coping efficaci (per quanto non convenzionali)thriveworks.com. Se invece alimentano ulteriore sofferenza interna, dipendenza dall’approvazione esterna o comportano rischio di ulteriori traumi, allora sono da considerarsi espressioni di un dolore non risolto.
Nel caso di Asia Vitale è difficile per gli esterni sapere cosa prevalga, e probabilmente la realtà comprende entrambe le componenti. Lei stessa ha ammesso quanto la violenza abbia cambiato il suo rapporto con il sesso, confessando: «È come se mi fossi resa conto di non essere poi così speciale. Ora mi diverto col mio ragazzo, a volte anche in tre. Ma sempre con il consenso, sempre tutto chiaro»l acnews24.it. Questa frase, pronunciata con lucidità disarmante, rivela da un lato la volontà di normalizzare il sesso nella propria vita (“mi diverto col mio ragazzo…”), dall’altro un senso di disillusione e di perdita di “specialità” legato al trauma subìto. Asia sembra dire: dopo quello che mi è successo, nulla mi scandalizza più, non mi sento più “pura” o diversa dagli altri – perciò vivo la sessualità senza tabù, purché con regole chiare e consenso. È un modo per togliere al sesso il potere di farle del male: se tutto è “concesso” (nel senso di negoziato e consapevole), nulla può colpirla a tradimento. Tuttavia, viene spontaneo chiedersi se questa desensibilizzazione volontaria sia indice di guarigione o piuttosto la cicatrice di una perdita (la perdita dell’ingenuità, della fiducia originaria).
La reazione pubblica alla vicenda di Asia riflette anche molti dei nostri pregiudizi culturali. Da un lato c’è la tendenza a voler vittimizzare a vita chi ha subìto uno stupro – aspettandosi che rimanga traumatizzata, modesta, sofferente, quasi “santa” nel suo dolore – e a non sapere come gestire una sopravvissuta che invece rivendica piacere e sessualità. Dall’altro c’è il rischio opposto di oggettivare queste scelte in chiave morbosa o voyeuristica, perdendo di vista la persona e la sua sofferenza originale. Asia ha denunciato di essere stata sommersa dagli insulti online non appena ha iniziato a mostrarsi sicura di sé o sensuale: da eroina fragile compatita da tutti, rischiava di venire trasformata agli occhi di alcuni in una “ragazza facile” da attaccare o sminuire. Queste reazioni confermano che viviamo ancora in una società impregnata di slut-shaming e doppi standard: una donna che esprime la propria sessualità viene facilmente colpevolizzata, persino se quella stessa donna è stata vittima di una violenza atroce. “Combatto gli hater”, ha detto Asia, ribadendo che il problema è di chi giudica e non suo palermo.repubblica.it. E su questo punto le si deve dar ragione: nessuno può arrogarsi il diritto di dire a una sopravvissuta come deve comportarsi per essere considerata una “vera vittima” o una “brava ragazza”
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Conclusioni
Il caso di Asia Vitale pone domande scomode ma necessarie sul modo in cui affrontiamo i traumi sessuali e il percorso di chi ne sopravvive. Da psicologi, possiamo leggere la sua storia come l’intreccio di un grande dolore e di un’enorme forza di reazione. Asia ha scelto di non soccombere al ruolo di vittima passiva: ha trasformato il suo corpo da teatro di violenza a strumento di agency, tentando di riscrivere la propria narrazione. Questa trasformazione, però, avviene su un crinale sottile tra cura di sé e possibile autolesione simbolica. L’emancipazione che Asia proclama – “il corpo è mio, faccio ciò che voglio” – è un diritto incontestabile, ma la domanda resta aperta: quella che sta esercitando è autentica libertà o una libertà illusoria condizionata dal trauma?
Dal punto di vista terapeutico, sarebbe importante che Asia (come ogni sopravvissuta) riceva sostegno psicologico specializzato durante questo percorso repubblica.it. Un professionista potrebbe aiutarla a esplorare le motivazioni profonde delle sue scelte, assicurandosi che non stia semplicemente fuggendo dal dolore ma lo stia elaborando. La sessualità consapevole può far parte della guarigione, ma andrebbe integrata in un processo di recupero dell’autostima e della sicurezza interiore, che non dipenda dagli abbonati di una piattaforma online. Allo stesso tempo, la vicenda di Asia richiama la responsabilità collettiva: come società, dobbiamo imparare ad ascoltare e supportare le vittime di violenza senza giudicarle, qualunque strada scelgano per tornare a vivere. Dovremmo chiederci se stiamo facendo abbastanza per offrire loro modelli di empowerment alternativi, e per combattere quella cultura che ancora colpevolizza la sessualità femminile o la considera una “moneta” di scambio.
In conclusione, Asia Vitale non è una semplice caso mediatico, ma una giovane donna in cammino su un sentiero accidentato tra trauma e rinascita. La sua storia ci insegna che la guarigione dal trauma da stupro non segue un copione lineare né conforme alle aspettative sociali: può passare per vie inaspettate, contraddittorie, perfino disturbanti.
Compito di tutti – professionisti della psiche, media e cittadini – è sospendere il giudizio e offrire comprensione, affinché quella ricerca di libertà non si traduca in nuove catene. La vera liberazione, per Asia come per chiunque nella sua condizione, sarà raggiunta quando potrà dire di aver integrato il suo passato doloroso senza esserne più definita, e quando le sue scelte (sessuali o di altro tipo) saranno frutto esclusivo del suo desiderio presente e non dell’ombra di un abuso.
Solo allora il cerchio potrà dirsi chiuso: non dimenticato, non giustificato – ma trasformato in una storia di sopravvivenza e autodeterminazione pienamente riuscita.
Fonti:
Arnaù, L. (2025). Dallo stupro di gruppo a Palermo al profilo su OnlyFans: Asia Vitale apre un canale a pagamento. LaC News24lacnews24.itlacnews24.itlacnews24.itlacnews24.it.
Nicolosi, E. (2025). Asia, due anni dopo lo stupro del Foro Italico: “Sono libera, amo il sesso ma nulla legittima l’abuso”. la Repubblicapalermo.repubblica.it.
State of Mind (2017). Effetti dello stupro sulle vittime: gli aspetti psicologici della violenza sessualestateofmind.itstateofmind.it.
Cromer, A. (2023). Sexual trauma: What are the effects? Thriveworksthriveworks.comthriveworks.comthriveworks.com.
Slavin, M. et al. (2020). Gender-Related Differences in Associations Between Sexual Abuse and Hypersexuality. Journal of Sexual Medicine, 17(10)pmc.ncbi.nlm.nih.gov.
O’Callaghan, E. et al. (2019). Navigating Sex and Sexuality after Sexual Assault: A Qualitative Study. Journal of Sex Research, 56(9)pmc.ncbi.nlm.nih.govpmc.ncbi.nlm.nih.gov.
Tissone, D. (2019). Lo stupro è un atto di potere e di controllo. HuffPost Italiahuffingtonpost.ithuffingtonpost.it.
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